sabato 23 gennaio 2010

Capitolo IV

Un nuovo detective


“Adesso non vogliamo essere indiscreti: lei ci deve dire chi è!”rivolgendosi a Stefano. Ma lui stava pensando ad altro. Poi d’un tratto disse:

“Mi chiamo Park, Stefano Park”.

Poi chiamò il cameriere: “Ci dovrebbe mettere in una stanza dove nessuno ci possa disturbare”.
“Senz’altro: seguitemi”.
S’incamminarono lungo un seminterrato e una stanza, forse di una ventina di metri quadri, era davanti a loro.
“Qui non vi disturberà nessuno” gli disse il cameriere mentre porgeva le chiavi a Stefano.
“Grazie. Abbiamo bisogno di conoscerci, sa”.
“Quando avete finito restituite le chiavi”.
“Senz’altro”.
Scese un silenzio di tomba. La prima parola fu di Stefano:
“Accomodiamoci” e tutti si sedettero. “Vorrei sapere nome, cognome, età e lavoro di ognuno di voi. Questo per semplificare il lavoro alle forze dell’ordine. Poi discuteremo un po’ tra noi!”. Stefano si guardò in giro.
“Iniziamo da lei” fece.
“Va bene” disse un uomo alto 1,60 m, capelli neri, occhi castani e faccia rotonda, “Mi chiamo Giuseppe Bianchi, ho 30 anni e attualmente sono impiegato in un’azienda che si occupa di hardware”.
“Appresso”.
“Sono Mary Hamilton e sono Francese. Ho 23 anni e sono qui in vacanza. Lavoro in Francia come scrittrice”.
In spagnolo, più che in italiano, questo signore si presentò: “Mi chiamo Gerard Zapateri e sono Spagnolo. Ero in Italia per affari, poi mi sono concesso questa vacanza”.
“Claudio Petalo, ho 56 anni. Lavoro come contadino. Mi sono permesso di venire qui. Una vacanza ogni tanto non fa male”.
Seguì poi l’ultimo dei cinque: “Mi chiamo Federico Dominaci, ho 24 anni e sono fidanzato con la signorina Hamilton. Siamo in viaggio di fidanzamento.”
In quel momento passò il cameriere e, tutto sconvolto, disse: “È successa una cosa terribile”.
“Parli”, fece Stefano
“Una frana; la strada ora è bloccata e non ve ne potete andare fino all’arrivo dei soccorsi. E il nostro collega dovrà arrivare a piedi qui con i carabinieri”.
“Brutta faccenda” commentò Stefano, ”Grazie, può andare”.
Le persone che erano in quella stanza non ne potevano più. Stefano capì la situazione e, senza perdersi d’animo, disse a coloro che erano ansiosi:
“Devo proprio dirvelo, altrimenti non riuscite a stare tranquilli. Io sono un investigatore, contenti?”
Un nuovo silenzio rese l’aria ancor più gelida. Nessuno credeva alle proprie orecchie. Un detective tra loro, chi l’avrebbe mai detto!
“Adesso devo essere indiscreto, ma voglio sapere stanotte, dopo le undici, cosa avete fatto. Vi do un po’ di tempo. Io vado a fare due passi. Ci vedremo qui fra trenta minuti.”
Stefano uscì fuori: oramai si era palesato. Ora tutti sapevano chi era e cosa facesse. Lui non aveva fatto nessuna scuola per investigatori. Lavorava all’Università, sezione chimica del suo paese, ma di dove fosse non lo sappiamo. Ricevette alcune lettere anonime e da allora stava ricercando quegli uomini che l’avevano fatto licenziare da quel lavoro che gli piaceva. Parlava bene Italiano e Inglese, ma conosceva bene anche Francese e Spagnolo. Fumava la pipa e qualche volta le sigarette e, per certi gesti, poteva assomigliare al re degli investigatori. Ma lui no, lui a Sherlock Holmes preferiva Hercule Poirot. Era più portato a far lavorare il cervello piuttosto che a mettersi con la lente di ingrandimento a cercare impronte. A lui interessavano i fatti. Era alto, sul metro e ottanta, capelli neri tagliati corti a spazzola, faccia rotonda e occhi neri, molto neri. Sembrava giovane, sulla trentina ma la sua vera età non la sapeva nessuno, solo lui. Non amava parlare di se stesso agli altri. Questo era il suo primo caso da indipendente. Anche se, precedentemente aveva collaborato con polizia e carabinieri per casi intricati, ma non si era mai fatto pagare: dava la sua intelligenza a tutti, gratuitamente.
Finito di fumare, rientrò in albergo e, sceso nel seminterrato, entrò nella stanza dove tutti i turisti, impazientemente, lo aspettavano.
Stefano squadrò tutti uno dopo l’altro e disse:
“Iniziamo!!!"

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