giovedì 10 giugno 2010

TUTTI FRATELLI

Era un pomeriggio di primavera. Il sole riscaldava l'aria e l'erba nel prato ricco di fiori sembrava più verde del soli­to. Giocavano con la palla Alberto e il suo papà Giuseppe mentre la mamma e l'altra sorellina erano in casa a preparar­si per scendere a giocare anche loro. Il pallone correva avanti e indietro tra il piede di Giuseppe e quello del fi­glio Alberto che, due volte alla settimana, andava anche a scuola calcio. E mentre giocavano si presentò un bambino. L'aspetto non era per niente rassicurante: i suoi pantaloni ormai consumati per l'usura, il suo volto scuro e i suoi ca­pelli non proprio pettinati a dovere facevano capire all'i­stante che era un bambino figlio di genitori tutt'altro che ricchi. Con un filo di voce chiese:
<<Posso giocare anche io con voi?>>
Alberto stava per opporsi ma suo padre disse: <<Certo, vieni pure >> e gli sorrise. Il bambino ricambio con un filo di voce rispondendo: <<Grazie>>. Ed iniziarono a giocare. Ma ve­deva che Alberto non era per niente contento di quel bambino nomade che si era inserito nel pomeriggio tra lui ed il papà. Un rumore segnava che una porta veniva chiusa: Roberta, la moglie di Giuseppe, e Rosa la figlia stavano scendendo nel cortile per giocare anche loro insieme agli altri due ma­schietti. Rimasero colpite quando videro un terzo volto e fu­rono restie a inserirsi a giocare. Più che colpite dalla pre­senza di un terzo volto, erano colpite dal fatto che era, per così dire, diverso. Giuseppe allora, notato che il bambino non era stato bene accettato disse:
<<Sediamoci tutti: voglio raccontarvi una storia>> e poco tempo dopo sia la moglie che i tre bambini erano seduti in cerchio davanti ad Alberto che iniziò.
<< C'era una volta un paese dove tutti erano razzisti, pronti ad odiare un altro semplicemente per il colore della pelle. Per non parlare di quando si allontanavano da qualcuno per il cattivo odore che, magari, questi emanava dopo una lunga giornata di lavoro, esclamando a gran voce davanti alla gen­te: “Lui non si lava!”.
Il Signore, dall'alto, guardava inorridito come tra loro le persone si trattavano. Pensava infatti: “Ma tu guarda un po'. Li ho creati perché si amassero e si volessero bene, invece mi ritrovo con tanti figli che hanno la vista così corta che si fermano al solo aspetto fisico, senza guardare invece come sono fatti dentro”. Decise allora di prendere una drastica decisione: “Toglierò loro i due sensi che non sanno utilizza­re: la vista e l'olfatto”. E fu così che dall'oggi al domani, nessun uomo più in quel paese poteva vedere o odorare. Impa­rarono ad amarsi per quelli che erano: tutti quanti figli di un unico Dio senza differenza di odore o di colore. Il bian­co, quindi, imparò ad aiutare il fratello nero e il rosso im­parò ad aiutare il fratello giallo, quello a cui fino al giorno prima non aveva rivolto nemmeno un saluto.
Senza la vista impararono ad usare il tatto notando che erano tutti uguali. Tutti infatti avevano 2 mani da 5 dita ciascu­na, due piedi da 5 ditini ciascuno. E poi avevano tutti un naso, una bocca, due orecchie. Ma soprattutto ognuno di loro aveva un cuore. Fu quando capirono queste cose che intervenne il saggio del paese e disse: “Abbiamo sbagliato tutto! In tanti anni di studi la scienza non è stata capace di fare al-
tro che dividere gli uomini. Si è concentrata sul colore del­la pelle, sul suo profumo, sulla funzione delle mani per il nostro corpo. Ma non è mai venuto a mente a nessuno scienzia­to che il nostro corpo non è stato fatto per vivere da solo? Siamo stati creati con due orecchie, perché nel momento in cui un nostro fratello è in difficoltà noi possiamo ascoltar­lo attentamente; le nostre mani, create per tenderle al fra­tello più vicino che ha bisogno di queste dieci dita. I no­stri piedi, per camminare, per andare da colui che non riesce a venire da me per chiedermi aiuto. Ma soprattutto il dono della vista è il dono più grande che abbiamo ricevuto e che abbiamo sempre mal utilizzato. I nostri occhi, infatti, non devono fermarsi all'esteriorità. Se infatti qualcuno di noi avesse guardato dentro una persona allora si sarebbe accorto che questa aveva due polmoni come noi, due reni come noi, un cervello come noi. Ma soprattutto un cuore messo a sinistra del nostro petto. E sapete perché? Perché in un abbraccio il cuore battesse anche per il lato opposto dove c'era il vuoto. E visto che non siamo stati capaci di utilizzare bene questi doni, il Signore ha pensato bene di toglierceli. Solo così siamo riusciti veramente a capire il valore della fratellanza”.
Il Signore rimase così commosso della reazione del saggio che restituì i sensi che aveva loro tolto allegando però un mes­saggio. Disse loro:
Utilizzate la bocca non per parlare male del fratello, ma per dirgli tante cose belle che fosse anche un: ti voglio bene fratello mio!”.>>
Tutti avevano ascoltato con molto interesse la storia raccon­tata da Giuseppe. Suo figlio allora, alzatosi, disse: <<ma

quindi siamo tutti fratelli?>> e lui rispose:
<<Certo. Il paese, il nostro colore di pelle, il nostro modo di vestire sono tutte cose che appartengono all'esteriorità. Ma ciò che conta è il nostro cuore! >>
<<Che bello! Andiamo a giocare tutti insieme allora!>> disse la moglie di Giuseppe. I bambini si divertirono tutti insieme per diverse ore insieme ai due genitori. Il bambino straniero si divertì insieme a loro e quando si fece ora dei saluti, Giuseppe gli regalò alcuni abiti mentre, i due fratellini, gli regalarono alcuni giochi
<<Torna a trovarci quando vuoi!>>
<<Torna a trovarci fratellino!>> fecero i due bambini che, quel giorno, avevano imparato ad utilizzare gli occhi per guardare fino in fondo una persona, e non per fermarsi all'a­spetto.


PS: questo racconto ha partecipato al premio letterario "Bruno Iorio" 2010, a Maddaloni (CE) vincendo il secondo posto. 

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